Sarvan e Sarvanòt
Sarvanòt: questo è il nome che la tradizione orale della nostra valle attribuisce ad un personaggio difficilmente definibile, che nell’immaginario era piccolo, brutto
e bouru, ossia peloso, aveva piedi caprini, era dotato
di intelligenza quanto e più degli uomini, allegro e chiassoso, a volte dispettoso ma non cattivo. Buttava
a terra i panni stesi, per esempio, scambiava il sale
con lo zucchero o ancora si introduceva nelle stalle
per far confusione con le catene delle mucche...
Il suo umore era influenzato dal tempo atmosferico:
se pioveva era contento, quando tirava vento piangeva. Amava vestirsi con indumenti coloratissimi che lo
rendevano visibile anche a grande distanza. Abitava
gli anfratti della roccia (i barme), o meglio le basse
caverne che sarebbero la causa della sua piccola statura poiché batteva spesso il capo contro il soffitto di pietra.
Pur designati da un unico termine, esistono Sarvanòt maschi e femmine, la cui unione generava figli
con i caratteri dei genitori. Conducevano vita associata, probabilmente in comunità di più famiglie, organizzate come quelle umane. La vicinanza con le abitazioni degli uomini faceva sÌ che si creassero spesso intrusioni nella vita quotidiana, ma anche rapporti di collaborazione o di mutuo scambio.
I Sarvanòt costituiscono quindi una delle numerose tipologie dell’Uomo Selvaggio, riscontrabile in ogni tempo e luogo nella mitologia popolare. I racconti sui Sarvanòt sono mito e sono fiaba. Una “letteratura
popolare” che nasce generalmente
all’interno di una comunità ed è
funzionale alla collettività stessa,
in quanto costituisce, oltre allo scopo
di divertimento e di intrattenimento
insiti nella narrazione, un importante elemento di coesione sociale con risvolti pedagogici rilevanti.
Infatti, se è vero che le storie non si concludono con una morale esplicita, contengono però alcuni importanti riferimenti alla vita quotidiana, alle relazioni interpersonali e a valori quali la solidarietà
e il rispetto della diversità.
Come le fiabe tradizionali, tale morale implicita non aveva bisogno di essere spiegata:
ogni ascoltatore, bambino o adulto, coglieva aspetti, situazioni, emozioni che facevano parte
delle sue esperienze e si andava convincendo di aver anch’egli vissuto alcuni di quegli episodi
che sentiva narrare, tanto era consolidato l’immaginario dei Sarvanòt.