Celle Macra.
Una donna saggia, patarel e paioulà.
La vijà era una di quelle lunghe veglie invernali trascorse al caldo delle stalle, mentre le donne filavano e rammendavano, e gli uomini aggiustavano e creavano nuovi attrezzi in legno. Era quella la migliore occasione per ascoltare i racconti degli anziani, accoccolati sul pagliericcio con i piccoli accanto, sulla storia e le leggende di questa terra d'Alpi: un'eredità preziosa, inestimabile, tramandata a voce di generazione in generazione e dipanata sera dopo sera. Vi sono luoghi nel comune di Seles, Celle Macra, che trasportano il pensiero a un tempo antico, travagliato, misterioso, segreto per certi aspetti. Ogni prato, ogni roccia, ogni anfratto di queste valli conserva un toponimo e rapppresenta un libro aperto dove, pagina dopo pagina, riaffiora la storia e gli antichi saperi del luogo.
Il sito di Celle Macra è sulla vecchia mulattiera che dalla borgata la Guiedza (Chiesa) porta a quella di Albournè (Albornetto). Partendo dalla sinistra del cimitero si scende sino a raggiungere un incrocio contrassegnato da un pilone (lou piloun dal Fournai); quindi, proseguendo sulla sinistra, si passa accanto ad una scarpata di rocce frantumate detta lou Fournai. Anticamente qui vi era una fornace dove dalle pietre frantumate si ricavava una sabbia che, cotta, produceva una specie di malta utilizzata per la costruzione delle abitazioni del luogo. Da qui, guardando in alto, si potrà notare la cappella di San Sebastiano. Molti dei siti locali venivano “cristianizzati” con la creazione di piloni votivi, cappelle o croci. Attraversato il combale, dopo qualche minuto di cammino notiamo sulla sinistra, in una zona oscurata da alcune alte piante, un foro caratteristico nella roccia. Qui troviamo il pertus (buco) d’la patarela mentre l’intera zona è denominata la paioulà.
Tre leggende per una donna importante. La Patarela.
I patarel sono gli stracci e patarela è una persona povera vestita con ritagli di stoffe diverse unite assieme con il rammendo. Ma sotto questi patarel, c’è la storia davvero speciale.
La prima leggenda racconta di una donna coperta di stracci che si dedicava alla raccolta delle erbe medicinali e con queste curava chi veniva a chiederle aiuto. Abitava isolata un una casetta ritenuta
una delle più antiche di Seles (versione di Coulinet Fracassa della borgata lou Pasquie, Paschero).
La seconda leggenda narra di una masca, la strega che abitava nel foro della roccia; una donna, che rincasava la sera passando davanti al pertus (foro), si sentì prendere per un lembo della gonna e “tirare” nelle viscere della montagna dalla strega. Per lo spavento afferrò la gonna con tutte le sue forze, e iniziò a tirare in senso opposto. La gonna così si ruppe e mentre la donna fuggiva spaventata verso la salvezza della sua Ruà (borgata), alla strega non restò che accontentarsi per quella volta di un misero pezzo di stoffa, un “patarel” appunto; esclamando “la sarè per n’aoute bot”, sarà per un’altra volta (racconto di Marieta d’Touneta dei Bianc Paschero).
La terza versione racconta che una masca denominata la patarela d’la paioulà dopo l’imbrunire si divertiva a catturare i bambini di passaggio con una canna ricurva e a trascinarli all'interno della caverna. Leggenda o non leggenda tutti i giovani del luogo, che di notte si recavano a trovare le ragazze in altre borgate limitrofe (alla veià), passando davanti al pertus d’la patarela acceleravano il passo!
Cos’è la paioulà?
La paioulà era il luogo in cui avvenivano i parti e la donna che aveva appena partorito veniva chiamata d’paiola. Questo termine dialettale ci fa pensare alla paglia, il contenuto del vecchio materasso chiamato paiassa. Ma perché questo termine lo ritroviamo soprattutto nelle alte vallate italiane e francesi della regione alpina, meno ricche di paglia piuttosto che nelle vaste pianure coltivate a grano? Chiedere chiarimenti alle anziane montanare che aiutavano le partorienti non è stato facile visto che l’argomento della procreazione e della nascita era ai tempi un forte tabù. Per questo motivo ci si è dovuti avvicinare alla questione col dovuto riguardo. Alcune informazioni giungono a noi anche tramite i rimedi antichi, le credenze e la medicina popolare.
Ancora nel 1940 era un caso eccezionale che nelle borgate alpine ci si recasse in ospedale o da una levatrice.
Il maggior numero di parti avveniva nel luogo più accogliente dell’abitazione, nella stalla se era nel periodo invernale o in camera nel periodo estivo, ma spesso nella stagione calda le donne si trovavano tutte in alta montagna per fare il fieno e per accudire il bestiame. In molti casi quindi si partoriva in alpeggio. Nella migliore delle circostanze il parto avveniva nella baita con l'aiuto di una vicina ma succedeva anche che le donne partorissero in un prato, nella comba o sulla via di ritorno alla grangia, da sole e senza l’aiuto di nessuno.
Per la partoriente ai tempi era molto difficile isolarsi (specie in alpeggio dove sovente vi era un solo locale diviso col bestiame) e, avvicinandosi l’ora della nascita, la preoccupazione principale era a chi lasciare gli altri figli (a 5 o 6 anni d’estate si andava già ad aiutare i genitori in alpeggio a mungere e al pascolo). Spesso per questo ci si rivolgeva a parenti o a vicini. Poi il padre, o in sua assenza il figlio più grande, correva a chiamare la donna-saggia del villaggio che, oltre ad aver assistito ad altri parti, di solito era anche ben pratica di erbe medicinali utili in questi casi. Erano momenti difficili e delicati, infatti la mortalità infantile era elevata. In quei casi si metteva in pratica tutto ciò che si conosceva, dalle pratiche magiche alle proprietà delle erbe medicinali, poiché l’unico scopo era salvare madre e neonato.
La donna-saggia recitava una preghiera durante il tragitto, quindi salutava la partoriente e subito chiedeva notizie riguardo l’avanzamento delle convulsioni. Si accertava che ci fosse tutto l’occorrente (sapone, olio, lenzuola, asciugamani...) e faceva fare un po’ di pulizia attorno al luogo nel quale il bimbo sarebbe nato perché le condizioni igieniche raramente erano buone.
A questo punto la donna-saggia procedeva a una visita ginecologica approfondita per rendersi conto
dello stato di dilatazione. Anticamente non vi erano disinfettanti se non alcune erbe e quindi, dopo
essersi lubrificata la mano con quello che vi era a disposizione (grasso di marmotta, olio di noci o burro fuso a bagnomaria), sottoponeva la partoriente allo stesso trattamento per rendere il passaggio del nascituro il più agevole possibile.
Non era raro che l’anziana portasse con sè una bottiglia di vino aromatizzato con erbe medicinali
utile a rinvigorire la futura madre in quei momenti difficili. La donna aveva a disposizione anche erbe per preparare tisane in occasione di parti lunghi o faticosi.
La saggia metteva poi a disposizione un fascio di paglia di segala, da mettere sotto la lettiera o il materasso. In alcuni casi la paglia veniva posizionata sul pavimento del locale per permettere alla partoriente di tenere le gambe sollevate o veniva attorcigliata per creare sostegni a forma di U da collocare sotto le ginocchia della donna e operare più agevolmente. In numerosi villaggi di alta montagna era consuetudine ricoprire questa paglia con lenzuola o vestiti usati per rendere più confortevole il travaglio. Quando le dilatazioni provocavano dolori acuti l’anziana donna incoraggiava la partoriente a passeggiare all'interno del locale oppure a mettersi in ginocchio. Poi esercitava pressioni più o meno energiche sull’addome. Quando le contrazioni duravano diverse ore, l’anziana faceva ingerire infusioni di segala, vino caldo aromatizzato o grappa, se ce n'era. Si ricorreva alla preparazione di decotti d’erbe solamente post partum per aiutare l’espulsione della placenta o durante il travaglio con infuso di Angelica Arcangelica per addormentare in parte il corpo e lenire il dolore.
Quando l’infante si presentava di schiena, di traverso o di spalle, la saggia tentava un movimento per riportare il piccino nella posizione corretta, ma se il bimbo era podalico esitava a praticare l'intervento perché, secondo un’antica credenza popolare, questa situazione lasciava ben poche possibilità di sopravvivenza. In questi casi serviva per forza l’intervento di un medico per eseguire il taglio cesareo. Una situazione però rara perché c'era poco tempo, nessun telefono e i villaggi erano molto distanti. Scendere col mulo sino al primo paese e ritornare col dottore poteva significare la morte del piccolo e talvolta anche della madre. D’inverno la situazione era anche peggiore.
Dove si trova la casa della donna saggia?
Un vecchio, Coulinet Fracassa, diceva che nella borgata Lou Pasque, esattamente sopra ai due fori nella roccia sulla mulattiera, si trovava una delle case più antiche di Celle Macra. In effetti ancora oggi c’è un sentiero che dalla borgata l’Albourné sale e si porta proprio sullo stesso costone roccioso indicato da Coulinet Fracassa.
Qui sono visibili i due fori nella roccia e proprio sopra, in mezzo a dei cespugli, si notano i resti di una grossa casa ormai in parte crollata. Tra le rovine dell’abitazione si possono notare le pietre cantonali, opera architettonica che era riservata solamente alle abitazioni di ceto più elevato. Senz’altro l’anziana medicatrice era tenuta in grande considerazione dagli abitanti di Seles!